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dai GIORNALI di OGGI

Per la prima volta un presidente in tv nel popolare show della Cbs

"Prima di decidere una nuova strategia serve una pausa di riflessione"

Obama, "Gli Usa stanchi della guerra"

L'Iran minaccia i soldati "stranieri"

Ahmadinejad:"Con le truppe straniere il terrorismo si è moltiplicato"

2009-09-22

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2009-09-22

CORRIERE della SERA

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2009-09-22

"la gente che ha ucciso 3mila americani sono ancora in afghanistan"

Obama: "Il Paese è stanco della guerra"

Il presidente allo show di David Letterman: "Dobbiamo avere una strategia coerente che funzioni "

NEW YORK- Dal razzismo alla riforma sanitaria. Dalla guerra alle figlie Malia e Sasha. Il presidente degli Stati Uniti si racconta. O meglio spiega, sottolinea, scherza. Barack Obama torna (ma questa volta da inquilino della Casa Bianca) a New York ospite nello studio televisivo di David Letterman a Broadway. Il padrone di casa, come sempre, incalzante e ironico. Anche se non particolarmente pungente. Obama, come sempre, sicuro e paziente. E anche ironico. Si parte dalle polemiche sull'intolleranza. "Ma io ero nero anche prima di essere eletto". Poi la crisi e la disoccupazione che sarà "un grande problema almeno per ancora un anno".

LA GUERRA- Ma il nervo scoperto rimane sempre e comunque la guerra. In Afghanistan non si stanno facendo grandi passi avanti. E Obama sa che "il paese è stanco della guerra". Adesso, la cosa più importante è "avere una strategia coerente che funzioni. Devo far sì che ne valga il sacrificio prima di decidere ulteriori dislocamenti di truppe". Sono otto anni che i militari combattono nel Paese. L'unica certezza è che "la gente che ha ucciso 3.000 americani era basata in Afghanistan. Sono stati ricacciati nelle montagne ma sono ancora lì. Sono indeboliti, ma sono ancora lì".

GLI ALTRI TEMI- Quello che serve all'America, secondo Obama, sono le regole. Sia sul fronte dell'assistenza sanitaria sia del credito. "Per colpa della mancanza di regole abbiamo dovuto dare centinaia di milioni di dollari alle banche", ha ricordato, "e lo stesso vale per la riforma sanitaria: se continuiamo di questo passo, fra dieci anni sempre meno americani avranno assistenza medica".

LE FIGLIE- Ma i sorrisi, quelli veri, arrivano parlando di Malia e Sasha. Anche per le due bambine è stato un cambio di vita. Senza contare che "se vanno a studiare da un'amica, i genitori devono essere perquisiti". E a proposito di sicurezza, il presidente non vuole neanche immaginare "quando diventeranno adolescenti e la scorta dovrà andare con loro al primo appuntamento"

 

22 settembre 2009

 

 

"da quando sono arrivati, il terrorismo si è moltiplicato"

L'Iran minaccia: "Via gli stranieri"

Ahmadinejad torna reclamare il ritiro dalla regione delle truppe guidate dagli Usa in Iraq e Afghanistan

Mahmoud Ahmadinejad (Ap)

Mahmoud Ahmadinejad (Ap)

TEHERAN- Un nuovo avvertimento. Per mostrare, ancora una volta, al mondo che lui non si piega. Né davanti ai manifestanti che puntualmente scendono in piazza. Né davanti alle potenze straniere. Così Mahmoud Ahmadinejad punta il dito contro i soldati stranieri nella Regione. "Taglieremo la mano di chiunque le stenderà per premere il grilletto contro l'Iran", ha spiegato e li ha esortati a lasciare l'Iraq e l'Afghanistan.

LA SFIDA- Una nuova provocazione. Una marcia indietro dopo l'accordo di un incontro sul nucleare. Il presidente iraniano parla dal palco di una parata militare per il 29simo anniversario dell'attacco iracheno contro la Repubblica islamica, durante la quale si è schiantato un aereo militare che partecipava alla parata. "I popoli della regione sono capaci di risolvere da soli i loro problemi e non accetteranno mai la presenza di stranieri, tornate ai vostri Paesi", ha affermato Ahmadinejad. Secondo il presidente da quando le truppe straniere sono presenti nella regione, "il terrorismo si è moltiplicato e la produzione e il traffico di stupefacenti è raddoppiato, triplicato. Questo dimostra che siete sulla strada sbagliata". Un'intimidazione all'Occidente anche quando afferma che "nessuna Potenza, nessun altro Stato oserà mai lanciare un'aggressione contro l'Iran".

IL PAESE- "Oggi l'Iran è più esperto e potente che mai", ha spiegato il leader. E ha sottolineato: "Le nostre Forze Armate sono pronte ad affrontare le forze dell'oscurità. Se qualcuno volesse sparare un proiettile contro di noi, da qualsiasi parte, gli mozzeremo le mani ancor prima che prema il grilletto. Nessuna Potenza al mondo è audace abbastanza da attaccare l'Iran". Il discorso alla vigilia del suo viaggio a New York per partecipare all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite.

 

22 settembre 2009

 

 

2009-09-16

 

 

 

 

REPUBBLICA

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2009-09-22

Per la prima volta un presidente in tv nel popolare show della Cbs

"Prima di decidere una nuova strategia serve una pausa di riflessione"

Obama, "Gli Usa stanchi della guerra"

L'Iran minaccia i soldati "stranieri"

Ahmadinejad:"Con le truppe straniere il terrorismo si è moltiplicato"

Obama, "Gli Usa stanchi della guerra" L'Iran minaccia i soldati "stranieri"

NEW YORK - "Il Paese è stanco della guerra. A questo punto dobbiamo avere una strategia coerente che funzioni. Devo far sì che ne valga il sacrificio prima di decidere ulteriori dislocamenti di truppe". A parlare è il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ospite del programma Cbs "Late Night Show" di David Lettermann, proprio alla vigilia del suo debutto alle Nazioni Unite dove oggi apre il vertice sul clima. Il presidente iraniano rivolgendosi agli Stati Uniti ha detto: "Le truppe straniere se ne devono andare dall'Iraq e dall'Afghanistan".

Ma soprattuto è stata la prima volta un presidente americano in carica è entrato nello studio di David Letterman: "Ha detto di sì, senza pensarci, proprio come Bush ha fatto con l'Iraq", ha spiegato Obama a Letterman che gli ha chiesto di spiegare la sua posizione sul'Afghanistan dopo il rimpallo di notizie sull'urgenza di rinforzi contenuta nel rapporto del comandante in area Stanley McChrystal: "La gente che ha ucciso 3.000 americani era basata in Afghanistan. Sono stati ricacciati nelle montagne ma sono ancora lì. Sono indeboliti, ma sono ancora lì", ha risposto il presidente, che ha confermato però la sua intenzione di una pausa di riflessione prima di decidere sull'invio di rinforzi.

Per Obama, unico ospite per 35 minuti dell'Ed Sullivan Theater di New York, dopo qualche battuta iniziale sulle figlie Sasha e Malia ("mi preoccupa quando saranno teen-ager e andranno agli appuntamenti coi ragazzi circondate da uomini armati") e un affondo ironico sul tema del razzismo ("E' importante sottolineare che ero nero prima di essere eletto"), ha virato presto su temi seri: oltre all'Afghanistan, la sanità, l'economia. "Il suo lavoro è più difficile del mio. Ecco cosa ho imparato oggi", ha detto Letterman al presidente: "Quando invochi la Gran Bretagna o il Canada, la gente rabbrividisce. Io non sono socialista ma non mi sembra niente male". E Obama: "Ai canadesi il loro sistema piace, ma ogni paese è diverso.

Quasi ogni paese avanzato ha la mutua per tutti. Noi dobbiamo trovare la via americana per farlo".

Obama ha affrontato l'economia, tema caldo in vista del vertice del G20 che si apre il 24 settembre a Pittsburgh: la disoccupazione sarà "un grande problema almeno per ancora un anno", ha detto il presidente.

Ahmadinejad: "Via le truppe dall'Afghanistan" - Le truppe straniere se ne devono andare dall'Iraq e dall'Afghanistan: lo ha detto oggi il presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad in un discorso tenuto ad una parata militare a Teheran. "I popoli della regione sono capaci di risolvere da soli i loro problemi e non accetteranno mai la presenza di stranieri, tornate ai vostri Paesi", ha affermato Ahmadinejad rivolgendosi agli Usa e agli altri Paesi occidentali presenti con le loro forze in Iraq e Afghanistan. Secondo Ahmadinejad, da quando le truppe straniere sono presenti nella regione, "il terrorismo si è moltiplicato e la produzione e il traffico di stupefacenti è raddoppiato, triplicato". "Questo dimostra - ha aggiunto - che siete sulla strada sbagliata

(22 settembre 2009)

 

 

 

 

 

 

La Russia apprezza l'annuncio del presidente Usa sulla nuova strategia militare

Sospeso il progetto di installare sul Baltico razzi e radar contro le postazioni americane

Scudo, Mosca risponde ad Obama

"Congelati i missili a Kaliningrad"

La prossima settimana a margine dell'Assemblea Generale dell'Onu Obama incontrerà

il leader russo Medvedev, quello cinese Hu Jintao e il premier giapponese Hatoyama

Scudo, Mosca risponde ad Obama "Congelati i missili a Kaliningrad"

Il presidente russo Medvedev

MOSCA - Se Obama archivia lo scudo antimissile di Bush, Mosca congela i missili a Kaliningrad. La risposta alle parole del presidente americano non si è fatta attendere. "Mosca ha annunciato che congelerà le misure militari programmate in risposta allo scudo antimissile Usa nell'Europa dell'est": lo ha detto una fonte diplomatico-militare all'agenzia Interfax. Tra le misure di risposta russa c'erano anche i missili Iskandernell'enclave baltica di Kaliningrad e un radar per disturbare quello previsto nella Repubblica Ceca dal progetto Usa.

Il tema dei missili e dello scudo sarà sicuramente al centro dei colloqui bilaterali che il presidente Barak Obama avrà la prossima settimana a New York con il presidente russo Dmitri Medvedev, a margine della Assemblea Generale all'Onu. La Casa Bianca ha annunciato oggi ufficialmente che, oltre a Medvedev, Obama incontrerà il presidente cinese Hu Jintao e il premier giapponese Yukio Hatoyama. Nessun incontro è previsto invece con il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad. Rispondendo a una precisa domanda dei giornalisti, l'ambasciatrice americana al Palazzo di Vetro, Susan Rice, ha risposto: "Escludo contatti diretti".

"La rinuncia da parte di Washington al terzo anello di difesa antimissilistico - spiega la diplomazia russa - non passerà inosservata e il complesso di misure che si era programmato in risposta all'installazione dei siti dello scudo americano in Europa sarà congelato, probabilmente del tutto cancellato".

Il "nuovo approccio" americano alla difesa antimissile era stato annunciato ieri dal presidente degli Stati Uniti. Con una dichiarazione ufficiale, Barack Obama aveva spiegato di aver definitivamente accantonato il progetto della precedente amministrazione di costruire uno scudo antimissile in Polonia e nella Repubblica Ceca.

Secondo il segretario alla Difesa Robert Gates il piano di difesa missilistico Bush è stato abbandonato perché mutato è il programma strategico iraniano, che ad oggi punta principalmente su missili a corto e medio raggio. Fino ad oggi, invece, Teheran puntava su vettori intercontinentali. "Il nuovo piano - ha spiegato il segretario della Difesa - presenta molti vantaggi: lo scudo sarà pronto con sette anni di anticipo rispetto al piano Bush (2011 anziché 2018), e l'impiego iniziale di navi al posto delle basi fisse darà al Pentagono più flessibilità e maggiori capacità di eludere attacchi nemici".

In questo quadro il segretario generale della Nato Anders Fogh Rasmussen ha proposto addirittura di "esplorare la possibilità di legare i sistemi di difesa missilistica di Usa, Nato e Russia". Secondo il numero uno della Nato, infatti "i nostri Paesi e i nostri eserciti diventeranno tutti sempre più vulnerabili ad attacchi missilistici". E l'ambasciatore russo presso la Nato Dmitri Rogozin ha giudicato "molto positive" le proposte di cooperazione rafforzata fatte da Rasmussen.

(18 settembre 2009)

 

 

 

 

 

 

Il presidente Usa: un nuovo piano antimissile che userà tecnologie sicure

Cambiamenti necessari per affrontare il programma dell'Iran, che rimane "una grave minaccia"

Scudo, la svolta annunciata

Obama abbandona il progetto Bush

Medvedev: "Decisione responsabile" che favorisce la cooperazione

Scudo, la svolta annunciata Obama abbandona il progetto Bush

Barack Obama

WASHINGTON - Un "nuovo approccio" alla difesa antimissile in Europa sostituirà quello dell'era Bush e renderà "più sicuri" gli alleati in Europa. Lo ha detto il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, annunciando ufficialmente la decisione di accantonare il progetto della precedente amministrazione di costruire uno scudo antimissile in Polonia e Repubblica Ceca. Obama ha aggiunto che il nuovo piano antimissile - deciso all'unanimità - userà tecnologie di provata affidabilità che rafforzeranno la protezione degli Stati Uniti e dei suoi alleati. Una notizia che era stata anticipata oggi dal Wall Street Journal.

"Questo nuovo approccio fornirà presto dei risultati, basati su sistemi collaudati, e offrirà una maggiore capacità di difesa contro la minaccia di attacchi missilistici rispetto al programma di difesa europeo del 2007", ha detto Obama che ha definito "infondate" le preoccupazioni della Russia sul "precedente scudo antimissile".

I dettagli della nuova strategia sono stati illustrati dal segretario alla Difesa Robert Gates che ha spiegato come la decisione di abbandonare il piano

di difesa missilistico in Polonia e Repubblica Ceca sia legata al mutamento del programma strategico iraniano, che ad oggi punta principalmente su missili a corto e medio raggio. Fino ad oggi, invece, Teheran puntava su vettori intercontinentali. Gates ha inoltre annunciato che come primo passo Washington schiererà navi dotate di tecnologia Aegis nel nord e nel sud dell'Europa. E ha sottolineato che il nuovo piano presenta molti vantaggi: lo scudo sarà pronto con sette anni di anticipo rispetto al piano Bush (2011 anziché 2018) e l'impiego iniziale di navi al posto delle basi fisse darà al Pentagono più flessibilità e maggiori capacità di eludere attacchi nemici.

Secondo quanto riferito dal New York Times il nuovo approccio si svilupperà in quattro fasi. A partire dal 2011 saranno schierati missili sm-3, a minore gittata, sulle navi militari americane a largo della Turchia e dell'Europa meridionale. Solo dal 2015 invece saranno costruite delle basi terrestri, ma non è ancora chiaro in quali Paesi. Le ultime due fasi partiranno rispettivamente nel 2018 e 2020.

La decisione di Obama è stata accolta in modo positivo da Mosca ed è destinata a creare una nuova atmosfera nell'incontro che Obama avrà la prossima settimana a New York, a margine ai lavori dell'Assemblea Generale dell'Onu, con il presidente russo. Proprio Dmitri Medvedev, parlando in tv, ha apprezzato la decisione "responsabile" di Obama e si è detto "pronto a continuare il dialogo", ritenendo che ci siano "buone condizioni" per una cooperazione contro la proliferazione missilistica.

Meno entusiasta la reazione dei Paesi dell'est europeo, che vedevano nelle future basi dello scudo in Repubblica Ceca e Polonia una forte garanzia americana, anche sotto il profilo politico, nei riguardi delle pressione di Mosca sugli Stati un tempo nell'orbita sovietica. Obama ha telefonato ai leader di Varsavia e Praga, prima di rendere pubblico il nuovo piano, per riaffermare i "legami profondi" degli Usa con i due paesi dell'est europeo. E nel fare l'annuncio oggi alla Casa Bianca, ha ribadito l'impegno Usa all'articolo V della Carta Nato, che considera un attacco contro un Paese membro dell'Alleanza un attacco contro l'intera Alleanza. Resta comunque il fatto che il nuovo piano, rimuovendo la maggiore causa di attrito tra Mosca e Washington degli ultimi anni, lancia i rapporti tra i due Paesi in una nuova dimensione positiva, in linea con la promessa di un 'reset' nelle relazioni tra i due paesi fatta da Obama al suo arrivo alla Casa Bianca.

La scelta dell'amministrazione Obama di rinunciare al piano Bush era stata anticipata il 27 agosto scorso da un quotidiano polacco, la Gazeta Wyborcza, citando l'esperto americano Riki Ellison che guida a Washington il gruppo favorevole al piano e che aveva scritto che gli Stati Uniti avevano già di fatto abbandonato il progetto perché interessati a sostituirlo con piattaforme di lancio aeree.

(17 settembre 2009)

 

 

 

 

 

Cartelli e slogan virulenti sotto la Casa Bianca, con accuse di nazismo e stalinismo

Dopo lo smacco elettorale, la destra ha ritrovato la forza di dominare la scena mediatica

Sanità, in piazza contro Obama

"Il Presidente non è il Messia"

dal nostro corrispondente FEDERICO RAMPINI

Sanità, in piazza contro Obama "Il Presidente non è il Messia"

NEW YORK - La piazza contro Barack Obama. Per la prima volta dalla sua elezione, Washington è stata invasa da decine di migliaia di manifestanti. Una folla imponente, in rivolta contro il suo "statalismo", e contro "l'oppressione fiscale". Sono arrivati coi pullman dal Texas e dal Tennessee, dall'Ohio e dal New Hampshire, dall'America "rossa" delle roccaforti repubblicane.

Ma anche da Stati "blu" che a novembre votarono per Obama. Una marcia pacifica ma dai toni virulenti ha occupato i larghi prati tra la Casa Bianca e il Congresso, straripando sulla Pennsylvania Avenue. Ha monopolizzato gli schermi televisivi, riuscendo di nuovo a spiazzare la strategia di comunicazione del presidente. Nella stessa giornata Obama era a Minneapolis per un comizio in difesa della sua riforma sanitaria: è stato declassato in secondo piano.

Una manifestazione popolare, variopinta, patriottica, e dai toni radicali: bandiere a stelle e strisce, inno nazionale, e tanto "God Bless America", Dio benedica l'America. La Fox News, tv beniamina della destra, nella cronaca ininterrotta dell'evento commentava: "Questa è l'America che vuole liberarsi da un governo impazzito". I toni degli striscioni erano perfino più estremi. "Stalin riprenditi i nostri politici". "Gesù è il messia non Obama". "La sanità di Obama ci renderà malati". Una gigantografia di Nancy Pelosi - presidente della Camera nonché leader della sinistra democratica - con la scritta "Nazista".

Il nuovo eroe di questo popolo della destra invece è Joe Wilson, il deputato repubblicano della South Carolina. Improvvisamente celebre per avere urlato "bugiardo" a Obama interrompendo il suo discorso sulla riforma sanitaria mercoledì al Congresso, Wilson è stato sommerso di donazioni: in 48 ore ha raccolto 750.000 dollari di contributi alla sua campagna elettorale. Il suo conterraneo Jim De Mint, senatore repubblicano della South Carolina, ieri era in mezzo ai manifestanti: "Questa non è una destra radicale - ha detto - questo è il popolo americano che ha paura per le sue libertà in pericolo".

Il corteo oceanico di ieri è il culmine di una serie di manifestazioni in tutto il paese, spesso battezzate Tea Party come la storica protesta del 16 dicembre 1773 a Boston, quando gli americani gettarono in mare dei sacchi di tè per protestare contro la tassa inglese su quella bevanda, simbolo di oppressione coloniale. Quest'anno i Tea Party della destra sono cominciati per denunciare la manovra di spesa pubblica da 787 miliardi di dollari varata a gennaio contro la recessione. E si sono saldati con altre frange della destra radicale.

C'è il movimento "birther", che continua a negare la cittadinanza americana di Obama. Ci sono i teorici di un complotto eversivo che avrebbe portato il primo afroamericano alla Casa Bianca. Ma le cabine di regìa sono altrove. Alla Fox News, dove dominano personaggi come l'anchorman Glenn Beck, fautore di una nuova caccia alle streghe che denuncia tutti i "comunisti" dentro l'Amministrazione Obama. C'è la potenza dei network radiofonici della destra, con la star Rush Limbaugh che ha trasformato Joe Wilson in eroe nazionale.

È tornata in azione la galassia di associazioni e think tank dei neoconservatori, vivi e vegeti più che mai. La manifestazione di ieri è stata promossa dalla Freedom Works Foundation e da Americans for Tax Reform, sigle oscure sulle quali però confluiscono ricchi finanziamenti delle lobby. Tra i bersagli immediati infatti c'è la riforma sanitaria di Obama, contro la quale sono mobilitate le assicurazioni, gli ospedali privati, una parte dell'industria farmaceutica e della classe medica. Potenze in grado di influenzare l'agenda politica, in un paese dove non esistono limiti reali al finanziamento privato delle campagne elettorali.

Obama ieri ha risposto ai suoi oppositori da Minneapolis. Ha ripetuto l'impegno solenne che aveva pronunciato mercoledì al Congresso: "Non firmerò una legge di riforma sanitaria se aumenta di un solo centesimo il deficit pubblico". Il presidente tenta di riprendere l'iniziativa nella comunicazione. Il discorso di fronte alle Camere riunite è stato efficace. Nei sondaggi è risalita la percentuale di americani favorevoli alla sua riforma. Ma il vantaggio rischia di essere effimero. La destra ha imparato a neutralizzare le sue doti di grande comunicatore, lo anticipa, lo spiazza, riesce spesso a dettare i titoli dei giornali e dei tg.

Era già accaduto durante i dibattiti dell'America di provincia sulla sanità: gruppetti organizzati di contestatori hanno spostato l'attenzione sistematicamente dai contenuti della riforma, lanciando le accuse sulla "eutanasìa di Stato" imposta agli anziani, o sui presunti incentivi pubblici all'aborto.

Gli slogan di ieri preannunciavano il prossimo terreno di battaglia: il fisco. Non importa se Obama non ha finora annunciato nuove imposte, e anzi ha promesso di lasciare la pressione invariata sul 95% dei contribuenti.

Non conta che il deficit pubblico attuale sia il risultato di due guerre, una recessione, e sgravi fiscali ai ricchi, tutte eredità dell'Amministrazione Bush. La destra è certa che prima o poi il deficit galoppante costringerà Obama ad aumentare le tasse, e comincia la "guerra preventiva". Intanto è riuscita a prendersi la piazza. E sottolinea così la scarsa capacità di mobilitazione dei democratici. Tra questi ultimi, l'entusiasmo del novembre 2008 è già un ricordo lontano.

(13 settembre 2009)

 

 

 

 

 

 

In un atteso discorso alle Camere, il presidente ritrova i toni della campagna elettorale

"Non sono il primo a provarci, ma voglio essere l'ultimo. Il tempo dei giochi politici è finito"

Ultimatum di Obama al Congresso

"Sanità per tutti gli americani"

dal nostro corrispondente FEDERICO RAMPINI

Ultimatum di Obama al Congresso "Sanità per tutti gli americani"

NEW YORK - "Non sono il primo presidente a provarci - dice - ma voglio essere l'ultimo". Barack Obama lancia il suo ultimatum al Congresso: la "sua" riforma sanitaria va fatta, e va chiusa entro quest'anno. Il presidente ritrova i toni ispirati della campagna elettorale, denuncia lo scandalo di un sistema di assistenza medica che "esclude perfino molti appartenenti al ceto medio". Fustiga il suo Paese con rara violenza: "L'America è l'unica democrazia avanzata, è l'unica nazione ricca, che si trova in condizioni così penose. Dove le assicurazioni ti possono revocare ogni assistenza col pretesto di una malattia pre-esistente; o perché hai perso il lavoro". Racconta storie tragiche, come quella di una donna abbandonata dall'assicurazione nel bel mezzo della chemioterapia per il tumore al seno.

"Dobbiamo offrire un'assistenza sanitaria alla portata dei 46 milioni di americani che non ce l'hanno. Nessuno dovrebbe finire in bancarotta solo perché si è ammalato. Siamo a un punto di rottura, il tempo dei giochi politici è finito". Obama annuncia la sua controffensiva sulla riforma sanitaria, un test decisivo. Lo fa in un attesissimo discorso davanti alle Camere riunite e alla nazione, in diretta alle otto di sera locali su tutti i network tv. E' la sfida su cui si gioca la sua presidenza.

Dopo un'estate in affanno, messo in difficoltà dagli attacchi dell'opposizione e con indici di popolarità in declino (il 52% dei cittadini lo boccia sulla sanità), il presidente scende in campo e si gioca la sua autorevolezza. Capisce di aver sbagliato a lasciare la briglia sciolta al Congresso. "Non perderò più il mio tempo", minaccia: è un ultimatum contro chi vuole solo sabotare la riforma. Annuncia per la prima volta dei principi non negoziabili, i contenuti che devono essere nella nuova legge, senza i quali opporrà il veto.

Il primo rassicura i moderati: "Non un centesimo di deficit pubblico in più". Questa riforma da 900 miliardi di dollari "deve autofinanziarsi", attraverso risparmi, tasse sulle assicurazioni private e i contribuenti ricchi. Ma ricorda che il costo di questa riforma è molto inferiore a quello delle guerre in Iraq e in Afghanistan, o agli sgravi fiscali per i ricchi varati da George Bush.

Il secondo principio: "Migliorare l'assistenza per chi l'ha già; offrirla a quelli che finora non possono permettersela". E' un dosaggio di giustizia sociale per affrontare una delle piaghe più gravi dell'America e di stabilità. Guai a spaventare gli americani che lavorano nelle grandi aziende, hanno polizze assicurative soddisfacenti, e perciò temono "la mutua di Stato". Su questo punto controverso - il varo di un'assicurazione pubblica - Obama resta prudente e non pone pregiudiziali. Non è vera riforma, dice, senza "un'autentica possibilità di scegliere, una concorrenza che offra agli americani diverse opzioni". Oggi la sanità lasciata alle forze di mercato non funziona, ricorda il presidente. Le compagnie assicurative si riservano di negare le polizze ai soggetti a rischio, e perfino di cancellarle per chi viene colpito da malattie gravi. Questo "sarà vietato per legge".

Il costo delle polizze oggi è alle stelle, è proibitivo per piccole aziende, autonomi, disoccupati. La folle "inflazione medica" costringe gli Usa a spendere il 16% del Pil per la sanità, molto più degli altri Paesi sviluppati e con risultati inferiori. Offrire un'assicurazione pubblica in concorrenza con le private, secondo Obama "aiuterebbe a migliorare la qualità delle cure e a ridurre i costi".

Il presidente fa un gesto gradito alla sinistra del suo partito, che vuole l'opzione pubblica come garanzia di equità. Sul fronte opposto c'è la furiosa resistenza dei repubblicani e delle lobby del capitalismo sanitario. Obama non si spinge fino alle estreme conseguenze. Non minaccia il veto presidenziale se la riforma non conterrà l'opzione pubblica. Può accettare una fase transitoria in cui si sperimenta la creazione di cooperative per far concorrenza alle assicurazioni private.

Preannuncia una "Borsa delle polizze" in cui cittadini e datori di lavoro possano selezionare le offerte più competitive. "Sono aperto a idee nuove, non ho rigidità ideologiche", insiste il presidente. Condanna la campagna di calunnie organizzata dalla destra repubblicana durante l'estate, con l'appoggio della lobby assicurativa: la riforma sanitaria è stata accusata perfino di imporre l'eutanasìa obbligatoria, negando le cure agli anziani per ridurre le spese. Smentisce anche l'accusa di voler estendere gratis l'assistenza agli immigrati clandestini. "La Casa Bianca ha cercato di mantenere un tono civile. Gli avversari hanno usato tattiche del terrore. Spero che il partito repubblicano riscopra la voce della ragione.

Troveranno un partner disponibile". Riserva strali acuminati alle compagnie assicurative, che "guardano solo ai profitti da esibire a Wall Street, e strapagano i loro top manager".

"Sull'80% delle misure c'è ormai un accordo", dice, ma nonostante l'ottimismo Obama non ha fatto breccia nell'opposizione. Il partito repubblicano è convinto che sulla sanità potrà affondare questo presidente, come fece con Bill Clinton nel 1993. Questa legge è uno snodo decisivo: se Obama non la porta a casa entro l'anno, tutta l'agenda delle riforme è a rischio. Ma se sui repubblicani non ci sono più illusioni, le aperture al dialogo di Obama in realtà hanno altri obiettivi. Vuole ricompattare il suo partito democratico, divaricato tra l'ala progressista che vuole una riforma audace, e i moderati che temono un'ulteriore esplosione di spesa pubblica. Soprattutto Obama si rivolge alla nazione, per spazzare via miti e leggende sul "socialismo sanitario" che hanno seminato l'ansia. Quattro dei cinque disegni di legge in esame al Congresso soddisfano i suoi "principi essenziali": assicurazione obbligatoria per tutti, sussidi pubblici per chi non può permettersela, controlli sulle tariffe assicurative, e divieto di escludere i pazienti.

Il presidente tira fuori, nel finale a sorpresa, una lettera che Ted Kennedy gli scrisse prima di morire. E' il momento più alto del suo discorso. "Siamo di fronte a una sfida morale, che riguarda i principi fondamentali di giustizia sociale. E' in gioco il carattere stesso della nostra nazione. Non possiamo accettare rinvii, non possiamo fallire questo appuntamento con la storia".

(10 settembre 2009)

 

 

 

 

 

 

2009-09-16

 

 

 

 

 

L'UNITA'

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2009-09-22

Ahmadinejad: "Via le truppe straniere da Afghanistan e Iraq"

Le truppe straniere se ne devono andare dall'Iraq e dall'Afghanistan: lo ha detto oggi il presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad in un discorso tenuto ad una parata militare a Teheran. "I popoli della regione sono capaci di risolvere da soli i loro problemi e non accetteranno mai la presenza di stranieri, tornate ai vostri Paesi", ha affermato Ahmadinejad rivolgendosi agli Usa e agli altri Paesi occidentali presenti con le loro forze in Iraq e Afghanistan.

Secondo Ahmadinejad, da quando le truppe straniere sono presenti nella regione, "il terrorismo si è moltiplicato e la produzione e il traffico di stupefacenti è raddoppiato, triplicato". "Questo dimostra - ha aggiunto - che siete sulla strada sbagliata".

Proprio in questi giorni il comandante della missione Stanley McChrystal che ha chiesto di aumentare le truppe in Afghanistan per evitare il rischio fallimento. Intervenendo al David Letterman show, Obama ha detto che prima di prendere qualunque decisione è necessario ridefinire la strategia Usa nella regione. "Negli ultimi sette anni e mezzo - ha detto il presidente Usa - la nostra strategia è andata alla deriva in Afghanistan: abbiamo perso di vista gli obiettivi della nostra missione".

Da chiarire resta anche il ruolo dell'Iran in tutto lo scacchiere. L'antiterrorismo Usa ritiene che le unità "qods", i commandos dei Pasdaran iraniani (le Guardie della Rivoluzione), stiano addestrando e fornendo armi ai talebani in Afghanistan. Al Pentagono il ruolo delle unita "qods" in Afghanistan è oggetto di dibattito (Bush erà convinto che fossero attivi in Iraq al fianco degli estremisti sciiti) ma l'antiterrorismo Usa è convinto che i contatti tra Iran e i talebani abbiano già raggiunto un livello di pericolosità preoccupante. Per verificare la portata dell'infiltrazione degli iraniani in Afghanistan la Cia e le altre agenzie americane stanno aumentando la loro presenza in Afghanistan.

Se la notizia fosse confermata rappresenterebbe una grossa sorpresa vista l'ostilità interconfessionale che da sempre la Repubblica Islamica, culla dell'ortodossia sciita, ha dimostrato contro i talebani integralisti sunniti.

22 settembre 2009

 

 

 

 

 

 

2009-09-16

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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